Giuliana Berlinguer
Biografia
Giuliana Berlinguer nasce a Mantova il 23 novembre 1933 da Tacito Ruggerini e Luigia Cavalieri. Nel 1951, avendo ottenuto una borsa di studio, intraprende gli studi di giurisprudenza all’Università Cattolica di Milano e si laurea nel 1955 con una tesi intitolata “Potestas in temporalibus e il diritto vigente in Italia”. Nel 1956, vinta una borsa di studio, si iscrive all’Accademia Nazionale di Arte Drammatica “Silvio d’Amico”, e si diploma nell’ottobre 1959 in regia e recitazione, mettendo in scena Il Divorzio di Vittorio Alfieri nel maggio dello stesso anno.
In quegli stessi anni conosce Giovanni Berlinguer, già impegnato politicamente, che si preparava ad intraprendere la carriera universitaria. All’inizio degli anni Sessanta, madre di Luisa, prima dei suoi tre figli, partecipa al bando di concorso indetto dalla Rai per accedere al corso di formazione professionale per personale di concetto da destinare al settore dei programmi televisivi e risulta vincitrice. Durante il corso di formazione ha modo di osservare all’opera Vittorio Cottafavi che diventerà uno dei suoi maestri, ma, al suo termine, rinuncia all’assunzione spinta dalla volontà di mettersi realmente alla prova come regista. Dopo poco tempo, verrà poi chiamata a lavorare come libera professionista ed inizia così il sodalizio con la Rai che durerà fino ai primi anni Ottanta.
Inizialmente, nella sua carriera come regista televisiva, si dedica all’adattamento e messa in scena di testi teatrali di autori classici e contemporanei, tra cui: Alfred De Vigny, Anton Čechov, Aleksandr Puškin, Geoge Bernard Shaw, Jean Anouilhn. Esordisce sul piccolo schermo con I due timidi di Eugene Labiche, andato in onda il 22 agosto 1963; seguono poi: La Facciata (1964) di Fausto Maria Martini, L’Anniversario (1963) di Anton Čechov, Non dire quattro (1965) di Marie Louise Villiers e il Boris Godunov (1966) che fu nelle parole stesse della regista “una grande fatica, oltre che una follia”.
Il lavoro di adattamento di opere teatrali porterà la regista a sperimentare nuove tecniche di ripresa, di uso del colore e del sonoro che utilizzerà nello sceneggiato Nero Wolfe, l’opera che la consacra definitivamente come regista. Lo sceneggiato, in dieci episodi, tratto dai romanzi dell’autore Rex Stout e che vede come protagonisti Tino Buazzelli nei panni del detective e Paolo Ferrari in quelli del fedele assistente, consegue un importante successo sia di critica che di pubblico. L’adattamento della Berlinguer è tale da ottenere anche l’approvazione dello stesso Rex Stout, inizialmente reticente nei confronti di un nuovo adattamento, dopo un fallimentare tentativo Hollywoodiano. Durante le riprese degli esterni a New York nel 1968 la regista avrà modo di conoscerlo personalmente accompagnata da Ruggero Orlando.
Per la radio adatta e mette in scena testi teatrali e opere radiofoniche come La Novella del grasso Legnaiuolo (1966) di Antonio di Tuccio Manetti, Con un po’ di paura (1967) di Alfred de Vigny, Così teneri legami (1986) di Loleh Bellon, Radix e Company (1990), Nuvola Rossa (1999).
Dirige nel 1974 alcuni episodi della rubrica televisiva “Turno C attualità e problemi del lavoro”: L’incubo del cronometro, Una fabbrica più umana, Lavoratori e studenti: operai della scuola. A partire sempre dalla seconda metà degli anni Settanta si dedicherà alla realizzazione di lungometraggi per la televisione: Ragazzo cercasi (1974), gli episodi Anarchia, Burocrazia, Cafone e Speculazione per la serie La parola; Il fatto, l’Esercito di Scipione (1977), che viene presentato al Festival cinematografico internazionale di Mosca e al Festival internazionale del cinema di San Sebastian, Un vestito per un saggio (1979), Episodi dalla vita di un uomo (1980), Un asino al patibolo (1982).
Nel 1981 si reca in Cina per la prima volta per effettuare un sopralluogo per la realizzazione di un progetto dedicato alla condizione della donna nel paese. Durante questo viaggio, una serie di circostanze porterà la Berlinguer ad interessarsi alla figura di Matteo Ricci, padre gesuita di sconfinata cultura, conosciuto in Cina come Li Madou, al cui studio dedicherà più di un decennio della sua vita. Il progetto originale era quello di dedicare a questo personaggio straordinario un film per la televisione prodotto dalla Rai; il progetto prende avvio ottenendo anche la compartecipazione della CFCC (Chinese Film co-production company) ma una volta partito subisce innumerevoli battute d’arresto, e nonostante le diverse sollecitazioni della Berlinguer, le riprese vengono rimandate. Nel 1990, dopo un nuovo sopralluogo in Cina, il progetto verrà accantonato e costituirà per la regista un grande rimpianto. Un dispiacere che si andrà ad aggiungere al rammarico per la censura subita dal suo primo film con impostazione documentaria L’Infortunio. Qui non è successo nulla, incentrato su un incidente avvenuto nell’azienda petrolchimica di Porto Torres, che, nonostante fosse stato inserito più volte in programmazione non andò mai in onda.
All’inizio degli anni Ottanta, la Rai decide di accantonare la produzione di teatro in televisione e la Berlinguer comincia a rivolgere il suo sguardo altrove. Nel 1983 debutta sul grande schermo con Il Disertore che la vede impegnata anche come sceneggiatrice insieme a Massimo Felisatti. La pellicola, prodotta da Rai Due e tratta dall’omonimo romanzo di Giuseppe Dessì, che vede nei panni della protagonista l’attrice Irene Papas, viene portata in concorso al XL Mostra del cinema di Venezia e al Chicago International Film Festival.
È proprio in questi anni che ha inizio un nuovo capitolo della sua vita, che la vede prevalentemente nelle vesti di autrice. Sin da giovanissima la Berlinguer è dotata di una fervente immaginazione, alimentata dalla bellezza dei panorami delle campagne che circondano la città di Mantova e si dedica alla scrittura di poesie e di racconti, tanto che essa stessa si definisce una scrittrice prima che una regista. Professionalmente si era già avvicinata a quest’ambito già nel 1957 con la pubblicazione del saggio I comici del signore di Mantova (origine del teatro mantovano), e dedicandosi poi, alla redazione di alcuni articoli relativi al teatro per le riviste la «Giovane Europa», «Cronache», e la «Gazzetta di Mantova». Sarà però solo a partire dalla metà degli anni Ottanta che dedicherà tutte le sue energie alla scrittura.
Anche se la sua produzione letteraria è successiva a quella televisiva, i due ambiti nel suo lavoro non possono che invadersi reciprocamente. Del suo metodo di scrittura dice: “io non so neanche bene, so che fa ridere, qual è il mio metodo, ogni romanzo che scrivo è un metodo diverso, dipende dalla storia, non ho metodo”. Alcuni scritti, infatti, nascono come tali, mentre altri si sviluppano a partire da soggetti e sceneggiature per la televisione come nel caso del Mago dell’Occidente. Il suo romanzo d’esordio è Una per sei che si rivela immediatamente un grande successo: candidato al Premio Strega 1985, vincitore del Premio letterario nazionale “Città di Rapallo” e del Premio “Milano” di narrativa. Viene nuovamente candidata al Premio Strega nel 1988 per il suo secondo romanzo Il Braccio d’argento per il quale vincerà il Premio Vela 1988 nello stesso anno, e in seguito al quale verrà insignita del Premio della Cultura.
Nel 1990 pubblica La Soluzione, che riceve una buona accoglienza, nel 1992 decide di far coincidere il viaggio del marito in Brasile con una serie di lezioni-conferenze sulla sua attività di narratrice con mezzi differenti e con un focus particolare per la sua attività registica presso l'Escola de comunicacoes e artes. Nel 1994 pubblica il suo quarto romanzo Agata e i suoi. Ancora convinta che fosse doveroso far conoscere la storia di Matteo Ricci, e oramai sempre più consapevole che il film non avrebbe mai visto la luce, decide di riversare tutto il lavoro preparatorio svolto in anni di ricerche sul romanzo Il Mago dell’Occidente, pubblicato nel 1997, che lo vede nei panni del protagonista. Il romanzo è un successo e ottiene importanti riconoscimenti: vince nel 1998 il Premio Città di Penne 1998 e il Premio Biennale di Narrativa Matelica - Libero Bigiaretti. Sempre nel 1997 viene pubblicato nella collana Centominuti della Casa editrice Rai-Eri l’originale radiofonico Motorpatia e nel 1998 si occupa della traduzione dei Viaggi di Gulliver di Jonathan Swift.
Nel 2001 fa ritorno al grande schermo con Un altro mondo è possibile, film collettivo realizzato in occasione del G8 di Genova che vede coinvolti grandi autori e lavoratori del cinema italiano, uniti per offrire una narrazione dell’evento alternativa a quella dei canali ufficiali. Il successo di questa iniziativa porterà alla costituzione della Fondazione “Cinema nel presente” che vede registi, autori, lavoratori dello spettacolo collaborare, spinti dalla volontà di raccontare il presente in maniera critica. Nel 2002 e nel 2003 parteciperà ad altri due film collettivi prodotti dalla Fondazione e dalla casa di produzione Lunarossa cinematografica. Il primo ha come titolo La primavera del 2002. L’Italia protesta, L’Italia si ferma, dedicato alle lotte dei lavoratori contro la modifica dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori italiani e contro il terrorismo, riemerso nel 2002 con l’assassinio del prof. Marco Biagi rivendicato dalle BR. Il secondo si intitola Lettere dalla Palestina (2003) che viene presentato nella sezione Forum della Mostra del cinema di Berlino, al festival do Rio e allo Jerusalem international film festival.
Nel 2004 insieme ad Irene Papas, con cui aveva già avuto modo di lavorare, cura la regia dello spettacolo teatrale Ecuba di Euripide, basato sulla traduzione di Salvatore Quasimodo. Lo spettacolo che vede la Papas anche nei panni di interprete principale, viene messo in scena per la prima volta il 10 settembre al Campus universitario di Tor Vergata e diventerà un film, ottenuto dal montaggio delle riprese delle diverse messe in scena, presentato al Taormina Film Fest.
Muore a Roma il 15 settembre 2014.
Anna Iovine
