Vera Marzot
Biografia
Vera Marzot si è espressa in diversi ambiti della creatività, primo fra tutti il costume per il cinema e il teatro, ma anche la pittura, la decorazione, la sceneggiatura radiotelevisiva, l’arredamento d’interni. Ha iniziato la sua attività nel secondo dopoguerra, in un periodo fervido di svolte culturali durante il quale collabora con artisti che definirono nuovi canoni della messa in scena teatrale e cinematografica. Nel tempo Marzot ha originalmente coniugato la precisione filologica al trattamento sperimentale dei materiali. Come testimone di questo mondo artistico, ha divulgato la storia del costume e del cinema curando mostre e insegnando allo Iuav di Venezia e al Centro Sperimentale di Cinematografia.
Nasce a Milano nel 1931 in una famiglia di origine friulana. Al liceo frequenta l’indirizzo classico a cui seguono una breve esperienza matrimoniale, un corso di Infermieristica e un impiego nel reparto di Chirurgia Infantile all’Ospedale Maggiore di Bologna. Decide presto di cambiare strada e trasferirsi a Roma dove si iscrive all’Università Internazionale di Studi Sociali Pro Deo e coltivare il suo interesse in critica cinematografica. Per mantenersi, nel 1955, fa domanda e vince una borsa di studio nella sezione Costume del Centro Sperimentale di Cinematografia. Non terminerà mai il percorso, ma ciò non le è di ostacolo per farsi strada nell’ambiente dello spettacolo. Il primo incarico le viene proposto già nel 1958 quando affianca il costumista e scenografo Beni Montresor nel film Pia de’ Tolomei di Luigi Grieco. Nei successivi due anni continua a lavorare come assistente per cinema e televisione con importanti cineasti come: Roberto Rossellini per Il Generale della Rovere (1959) con i costumi di Piero Zuffi; Luigi Zampa per Il Magistrato (1959) con i costumi di Flavio Mogherini; Francesco Maselli per I delfini (1960) con i costumi di Dario Cecchi. Nel 1960 firma il suo primo lavoro per Lucio Fulci in Urlatori alla sbarra. A metà degli anni Sessanta inizia anche a lavorare in teatro per la Compagnia Morelli-Stoppa al Quirino di Roma (Oh, che bella guerra!, 1964, e Così è se vi pare, 1965) e come assistente di Fabrizio Clerici che disegna scene e costumi di Didone ed Enea diretto da Beppe Menegatti al Teatro dell’Opera nel 1965.
Nel 1961 avviene l’incontro che segnerà in maniera profonda la sua formazione come costumista (più di quanto avessero fatto le lezioni al Centro Sperimentale) e darà una precisa direzione alla sua carriera grazie a una duratura collaborazione: assiste il costumista Piero Tosi, già da un decennio affermato costumista di cinema e teatro, nel film A cavallo della tigre di Luigi Comencini. Ancor più significativa è l’esperienza nel Gattopardo (1963) di Luchino Visconti, che rappresenta per Vera Marzot il primo approccio al costume storico realista. Come molti altri colleghi della sua generazione (e non solo), la costumista fa suoi il metodo filologico e l’analisi del dettaglio di Tosi e di Visconti. Nel corso delle approfondite ricerche sulle fonti per la preparazione dei bozzetti e per il reperimento di materiali e abiti autentici, Marzot riceve l’approvazione e l’apprezzamento di Tosi per i figurini dei bambini, della servitù e dei militari. Sul set può osservare il maestro al lavoro e riceverne le lezioni e le critiche che plasmano la sua metodologia. Per esempio, nonostante il ritardo sulla vestizione delle centinaia di comparse per la scena corale della presa di Palermo, Tosi le fa notare di non aver prestato attenzione all’apparenza fisica e fisionomica dei garibaldini nello scegliere camicie e accessori più adatti allo status, alla classe, all’età di ognuno di loro. Questo perché anche nei campi lunghi in cui la massa rossa dei soldati si riversa nella città doveva essere chiara l’eterogeneità sociale dell’esercito di Garibaldi, che poteva manifestarsi soltanto grazie ai dettagli del costume, come le diverse intensità delle tinture, la varietà nella selezione dei tessuti e nei tagli delle camicie. Tra maestro e allieva si instaurano una reciproca stima e complicità che saranno fondamentali quando Marzot presenzierà i set all’estero (in Germania nel 1969, per esempio, per Lacaduta degli dei) mentre Tosi, che non ama viaggiare, continuerà a lavorare nelle sartorie di Roma. Grazie al Gattopardo anche Visconti ha modo di notare il lavoro di Marzot, di discutere con lei dei dettagli dei suoi bozzetti. Inizia un rapporto di fiducia basato su una profonda e pronta comprensione delle indicazioni e suggestioni artistiche che lo porterà poco dopo a chiamarla come sua assistente ai costumi per la messa in scena del Don Carlos al Teatro dell’Opera di Roma per la stagione 1965-66. A questa seguiranno altre collaborazioni per le fastose messinscene di opere liriche e di prosa (Rosenkavalier, 1966 e La traviata, 1967 al Covent Garden di Londra e La monaca di Monza al Teatro Bonci di Cesena, 1967), per altri film (il già citato Lacaduta degli dei, Gruppo di famiglia in un interno, 1974 e L’innocente, 1976) fino alla morte di Visconti che avrà un forte impatto sulle successive scelte lavorative della costumista. Marzot collaborerà con Tosi anche in importanti produzioni di altri registi come I compagni (1963) di Mario Monicelli, Le belle famiglie di Ugo Gregoretti (1964), La donna scimmia di Marco Ferreri (1964), Matrimonio all’italiana di Vittorio De Sica (1964), Le sorelle Materassi di Mario Ferrero (1972).
Un altro incontro importante durante la lavorazione del Gattopardo è quello con Umberto Tirelli, che all’epoca lavorava per la sartoria teatrale S.A.F.A.S.; poco dopo aprirà una sartoria in proprio - di cui Marzot diventerà anche socia - che confezionerà quasi tutti i costumi disegnati dalla costumista. Qui Marzot trova uno spazio dove potersi dedicare alla sperimentazione materica e al trattamento dei tessuti per raggiungere effetti sempre nuovi e inaspettati volti a soddisfare le esigenze sceniche dei registi con cui lavora o per altri colleghi costumisti, alterando tessuti con tecniche di invecchiamento, pittura e aggiunte di altri materiali. L’attività congiunta tra Marzot e Tirelli non si limita soltanto all’ambito cine-teatrale, sono anche impegnati nella curatela, nell’allestimento e nella partecipazione di mostre in Italia e all’estero, spesso dedicate alla figura di Visconti o alla divulgazione della storia della moda e del costume. Nel 1977 lavorano insieme a Tosi alle mostre Visconti's film costumes a Sydney e L'arte del costume nel cinema di Visconti per la Galleria Civica di Modena. Nel 1979 allestiscono la mostra Curiosità di una reggia: vicende della guardaroba di Palazzo Pitti a Firenze curata da Kristine Piacenti, futura fondatrice della Galleria del Costume. Nel 1981 collaborano alla mostra del Metropolitan Museum di New York sul costume femminile settecentesco The 18th-century woman prestando abiti autentici.
Tra il 1981 e il 1983 Marzot segue in diverse città italiane, in Francia e in Giappone la grande mostra celebrativa Visconti e il suo lavoro curata da lei, Caterina d’Amico e Tirelli e che conta dei contributi di tanti collaboratori e amici che gravitavano intorno al regista.
Nel 1982 collabora insieme al British Council e al centro studi Donna-Woman-Femme a Yours truly Virginia Woolf, mostra documentaria e fotografica sulla scrittrice inglese a Palazzo del Drago a Roma. Nel 1983, all’Accademia di Francia di Villa Medici, Marzot cura la mostra I piaceri e i giorni, la moda per una serie di iniziative dedicata a “Roma Capitale d’Italia 1870-1911”.
Dopo la morte di Visconti, si allontana sempre più dal cinema e si dedica quasi esclusivamente al teatro. A partire da L’anitra selvatica di Ibsen (Teatro Metastasio, Prato, 1977) si lega artisticamente al teatro di Luca Ronconi. La formazione alla ‘scuola’ di Visconti e Tosi è un grande punto di forza che motiva il regista ad affidarsi a lei per numerose collaborazioni nonostante il suo stile sia molto diverso da quello viscontiano. Lo scambio tra Marzot e Ronconi sarà molto stimolante e metterà alla prova la costumista. Ronconi si basa non tanto su una potente suggestione filologica quanto su accostamenti di vari elementi temporali e talvolta multimediali, su una destrutturazione dello spazio scenico che risulta più minimalista ma non povero di materiali e colori, e su un allontanamento deciso da tradizioni di rappresentazione. Con il regista esordisce al Teatro alla Scala nel 1985 con l’Aida e negli anni successivi, importanti finanziamenti pubblici scaligeri le permettono nuove esperienze con mezzi e maestranze in altre cinque opere (Oberon, 1988, Fetonte, 1987, Guglielmo Tell, 1988, Lodoiska, 1990 e Tosca, 1997).I costumi di Fetonte e Fierrabras (Teatro comunale, Firenze, 1995)le valgono anche il premio Franco Abbiati. Lei e Ronconi collaborano insieme a trentacinque spettacoli fino al 2003.
Marzot lavora con altri importanti nomi del cinema e del teatro come, tra i tanti, Tito Gobbi, Terence Hill, Gabriele Lavia, Nanni Loy, Franco Mannino, Mario Martone, Pierluigi Pizzi e Sandro Sequi.
Dal 1975 si dedica all’attività di sceneggiatura radiotelevisiva improntata alla divulgazione culturale di musica (“La vita di Beethoven”), storia di genere (“Le brigantesse” e "Chi è Emmeline Pankhrust?") e storia dell’arte con degli episodi sulla pittura di Dürer e Watteau, anche in collaborazione con la scrittrice e sceneggiatrice di origini ungheresi Edith Beck, moglie di Nelo Risi con cui Marzot lavorò alla Colonna infame (1972).
Il desiderio di Marzot di dedicarsi alla scenografia - nato dalla sua considerazione che tale arte darebbe maggiore libertà all’artista dal momento che uno spazio si plasma più facilmente di un corpo umano - non trova espressione nel teatro e nel cinema, tuttavia la spinge a esplorare altri percorsi creativi. Nonostante sappia già padroneggiare le tecniche pittoriche e grafiche caratteristiche della creazione dei bozzetti - il guazzo, l’acquerello, la grafite - nel 1983 si iscrive al corso di decorazione pittorica dell’Institut supérieur de peinture décorative di Bruxelles su consiglio della costumista, scenografa e illustratrice Lila De Nobili. Sperimenta e si specializza così nelle tecniche del trompe l’œil, faux marble e faux-bois. Le nuove conoscenze e abilità acquisite la stimolano ad aprire uno studio a Trastevere, ricordo di un vecchio progetto per un negozio da aprire con il collega scenografo Mauro Pagano, prematuramente scomparso nel 1988. Nel nuovo studio alterna l’attività teatrale a quella della pittura e della decorazione. Tra gli anni Novanta e Duemila, si occupa del rinnovo e arredamento di alcuni antichi casali, borghi e palazzi in Toscana.
Negli anni Duemila si dedica anche all’attività didattica: dal 2002 al 2011 insegna Storia della moda e del costume all’Università IUAV di Venezia; nel 2008 riceve degli incarichi anche dal Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma e dalla Scuola dell'Opera italiana di Bologna.
Nel 2000 è nominata membro della giuria dell’Ente David di Donatello, ruolo che ricoprirà sino alla sua morte avvenuta a Roma nel 2012.
Flora Ferrara
