Piero Tosi

Estremi cronologici dell’archivio, 1952 - 2005
Consistenza, 40 fascicoli (1.205 documenti)
Anno di acquisizione, 2009
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Biografia

Scenografo, arredatore e soprattutto costumista, Piero Tosi è celebre per aver esplicitato e divulgato il metodo filologico per l’elaborazione del costume storico cine-teatrale, una prassi che affonda le radici nel lavoro svolto da Gino Sensani nella prima metà del Novecento, ma che ha potuto trovare maggior respiro e sviluppo a partire dal cinema neorealista del dopoguerra. Dalla fine degli anni Quaranta fino agli anni Duemila Tosi ha lavorato con i maggiori esponenti del cinema italiano e internazionale e ha formato generazioni di costumisti sui set e nelle aule del Centro Sperimentale di Cinematografia: il suo magistero è talmente indiscusso che nel 2013 è stato insignito del premio Oscar alla carriera, primo e tuttora unico costumista a ricevere tale riconoscimento.

Nato a Sesto Fiorentino nel 1927 da una famiglia di artigiani, fin da giovanissimo Tosi ha modo di esercitare una certa manualità nella bottega del padre fabbro, mentre sviluppa una passione per il cinema e si diletta nel disegno copiando i volti delle attrici della rivista Cinema. Nel 1943 abbandona la scuola di avviamento professionale alla quale lo aveva iscritto il padre e si iscrive alla sezione arti grafiche dell’Istituto di Porta Romana, dove segue le lezioni dell’incisore Pietro Parigi. Qui conosce gli allievi Danilo Donati e Anna Anni, iscritti alla sezione di pittura, destinati a condividere con lui amicizia, esperienze e percorsi professionali.

Fin dagli anni della scuola Tosi mostra un interesse e un’attitudine per la ricerca che influenzerà anche i suoi compagni, con cui passerà molto tempo in biblioteca. Gli è subito chiaro come l’ideazione di un costume parta prima di tutto da un’estesa cultura personale, basata sullo studio interdisciplinare delle arti figurative e letterarie, nonché della storia di un’epoca, dei suoi costumi sociali e delle sue innovazioni tecnologiche, che forniscono varie prospettive sulla funzione e sul valore estetico e simbolico dell’abito.

Costretto a interrompere gli studi per la guerra, Tosi torna a scuola nel 1945. Nel 1947 firma il primo lavoro: scene e costumi per Il candeliere di de Musset, messo in scena da Franco Enriquez al Teatro La Meridiana di Firenze. Conseguito il diploma, costretto dalle necessità economiche della famiglia provata dalla guerra, si impiega come inserviente in un ospedale, pur continuando a frequentare l’ambiente artistico anche grazie agli antichi compagni di scuola. In quegli anni diventa amico di Franco Zeffirelli, incontrato nei cineclub e nei caffè frequentati dai giovani fiorentini appassionati di cinema e teatro.

È proprio Zeffirelli che nel 1949 lo inserisce nel gruppo impegnato al Giardino di Boboli nella realizzazione di uno spettacolo che rimarrà leggendario: il grandioso Troilo e Cressida di Shakespeare, con la regia di Luchino Visconti. Tosi, appena 22enne, si prodiga come assistente volontario di Maria de Matteis costumista e di Zeffirelli scenografo, che affianca nella ricerca della documentazione. È in questa occasione che ha modo di mostrare a Visconti il suo portfolio, ispirato allo stile di Sensani. Poco più tardi Zeffirelli gli affida l’incarico di raccogliere documentazione per l’ambientazione del romanzo di Vasco Pratolini Cronache di poveri amanti, che Visconti avrebbe voluto adattare per il cinema. Il progetto non va in porto, e nel 1951 è sempre Zeffirelli, questa volta nella veste di assistente alla regia per Bellissima, a proporre a Visconti di affidare a Tosi la cura dei costumi per il film. Ed è così che il più grande costumista di cinema del Novecento debutta con un’opera dove non realizza nemmeno un abito, ma attinge esclusivamente dal reale, cercando letteralmente per strada abiti indossati da passanti, quindi già vissuti precedentemente alla storia dei personaggi, ma per questo capaci di rappresentarla in maniera più vera. Il rapporto con Visconti è così avviato e proseguirà puntualmente fino alla morte del regista, con ben tredici film e sette spettacoli teatrali.

Gli anni Cinquanta vedono Tosi affiancare Visconti regista teatrale nel duplice ruolo di scenografo e costumista. A partire dai suggerimenti di Visconti, nel 1952 Tosi realizza per la messinscena di La locandiera di Goldoni un mondo inedito, in cui le linee settecentesche di Pietro Longhi e la palette di colori di Chardin si fondono in ambienti ispirati all’arte di Giorgio Morandi. Nel 1955 dà vita a un allestimento filologico di Zio Vania di Cechov e a una versione romantica rimasta celebre di La sonnambula di Bellini per il Teatro alla Scala, d’orchestra Leonard Bernstein, protagonista Maria Callas, alla quale fa indossare un bustino fedele allo stile anni Trenta dell’Ottocento, una scelta senza precedenti nell’opera lirica. Infine nel 1958 disegna il romantico Macbeth di Verdi che tiene a battesimo a Spoleto il primo Festival dei Due Mondi.

Dagli anni Sessanta l’interesse di Tosi si circoscrive al costume. Collaborazioni teatrali importanti sono quelle con Franco Zeffirelli (Lulù di Carlo Bertolazzi, Roma 1951; Euridice di Peri, Firenze 1960); con Raymond Rouleau (La gatta sul tetto che scotta di Tennessee Williams, per cui disegna anche le scene, Milano 1958); con Franco Enriquez (Beatrice di Tenda di Bellini, per cui disegna anche le scene, Palermo 1959); con Visconti (Dommage qu’elle soit une p… di Ford, Parigi 1961; Manon Lescaut di Puccini, Spoleto 1973); con Mauro Bolognini (La vedova allegra, di Franz Lehár, Napoli 1985; Don Carlo di Verdi, Venezia 1991).

Ma è il cinema che gli è più congeniale, e dall’esordio collabora con Visconti a opere di ambientazione sia storica che contemporanea: per Senso (1954), appena ventiseienne, firma i costumi per i personaggi secondari, di ispirazione macchiaiola in contrasto con quelli filofrancesi di Alida Valli, disegnati dal più esperto Marcel Escoffier; per Rocco e i suoi fratelli sceglie abiti moderni ma lontani dalla suggestione della moda, per contribuire alla creazione di un’opera senza tempo; con Il gattopardo (1964) concorre alla definizione dell’immagine di personaggi letterari; con La caduta degli dei (1969) suggerisce agli stilisti del momento un ritorno alle forme degli anni Trenta e Quaranta; in Morte a Venezia (1971) utilizza costumi realizzati e abiti autentici, provvidenzialmente messi a disposizione dalla collezione di Umberto Tirelli, ottenendo una prodigiosa ricostruzione d’epoca.

La lezione neorealista di Bellissima infatti motiva Tosi anche nei progetti storici. Lo studio di capi e materiali autentici gli permette di conoscere fino in fondo la materia da ricreare, e l’inserimento di dettagli originali non solo fornisce un contributo alla ricostruzione filologica ma attribuisce al costume ricreato una carica vitale che costumi creati ex novo non potrebbero avere. Per il reperimento di abiti originali Tosi trova un prezioso alleato nell’amico Umberto Tirelli: una collaborazione nata negli anni Cinquanta, quando Tirelli lavorava per la sartoria teatrale SAFAS, e consolidata con la nascita della Tirelli Costumi, avvenuta nel 1964. Per passione personale e per sostenere gli amici costumisti nelle loro ricerche, Tirelli dà vita a un’importante collezione di abiti autentici che negli anni diventa talmente preziosa da viaggiare in tutto il mondo per numerose mostre, cui Tosi contribuisce con gli allestimenti. Ne è un esempio l’esposizione per celebrare la donazione di Tirelli alla Galleria del Costume di Palazzo Pitti nel 1986.

Altre collaborazioni cinematografiche importanti sono state con Mario Soldati (Policarpo, ufficiale di scrittura, 1957); Mario Monicelli (I compagni, 1963); Vittorio De Sica (Ieri oggi e domani, 1963; Matrimonio all’italiana, 1964); Lina Wertmüller (Il giornalino di Gian Burrasca, 1964); Liliana Cavani (Il portiere di notte, 1974; Al di là del bene e del male, 1977); Edouard Molinaro (Il vizietto, 1978); Franco Zeffirelli (La traviata, 1983; Storia di una capinera, 1994); e soprattutto i numerosi film con Mauro Bolognini, per i quali di solito oltre ai costumi cura anche gli arredamenti, e tra i quali ricordiamo Il bell’Antonio (1960), La viaccia (1961), Senilità (1962), Metello (1970), Bubù (1971), La storia vera della signora dalle camelie (1981).

Un discorso a parte meritano gli incontri di Tosi con Pasolini e Fellini, che gli propongono una collaborazione su basi molto diverse da quelle alle quali è avvezzo. Pasolini è poco comunicativo e non fornisce riferimenti storici-artistici per Medea (1964), limitandosi a chiedere a Tosi “un assemblaggio delle cose più antiche, delle civiltà più lontane nel tempo”. Ma i bozzetti non lo soddisfano, quindi Tosi decide di condurre una ricerca materica sperimentale direttamente sui tessuti: cencio di nonna, mollettone, bambagia e garze da ospedali. Con Fellini invece deve difendersi da un approccio fin troppo invasivo, per l’abitudine del regista di intervenire anche durante la fase del disegno. Intollerante a queste ingerenze, Tosi costumista collabora con Fellini solamente per Toby Dammit, un episodio del film collettivo Tre passi nel deliro (1967), e accetta in seguito di lavorare con lui esclusivamente nella creazione dei volti, vale a dire come acconciatore e truccatore non accreditato, in film dove i costumi sono ideati da altri colleghi: Fellini-Satyricon (1969) dove scene e costumi sono ideati dall’amico Donati, e più tardi E la nave va (1983), dove persuade Fellini ad affidare la creazione dei costumi al quasi debuttante Maurizio Millenotti. In seguito si dedicherà ai soli volti ideando – non accreditato – trucco e acconciature anche dei protagonisti dei film di Zeffirelli Otello (1986) e Amleto (1990).

Il metodo di Tosi promuove una visione olistica e unitaria dell’immagine del personaggio; quindi per lui il costumista deve sovrintendere anche al trucco e all’acconciatura dell’interprete. È proprio il viso il suo punto di partenza per trasformare la fisicità dell’interprete senza tradirne la personalità. Intorno al viso immagina quindi il costume iniziando dalle sottostrutture, ovvero da ciò che dà forma all’abito. Tosi attribuisce grande importanza al disegno, che si esercita e si perfeziona nella copia di quadri e di fotografie, alla ricerca dei volumi e delle posture imposte dai tagli d’epoca; e alla conoscenza del tessuto, indispensabile per ricreare i volumi giusti e per condizionare il movimento nello spazio. Il suo obbiettivo non è mai quello di costruire un bell’abito, piuttosto è quello di riuscire a evocare e condensare lo zeitgeist di un’epoca mediando tra un testo verbale di partenza e un’immagine ricreata sulla base dei canoni estetici e artistici di un certo periodo storico, anche, e soprattutto, a servizio della storia narrata e della visione del regista.

Dal 1988 al 2016 insegna Costume al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma e di fatto prende le distanze dalla professione attiva.

Muore a Roma nel 2019.

Flora Ferrara